Quest’anno il filo conduttore era “The Human Factor in Innovation”, inteso come ruolo rivestito dal capitale umano nei processi di innovazione e interesse da parte di aziende ed istituzioni nell’identificare e sostenere la creatività, non solo individuale. In ogni caso, nel “Global Innovation Index 2014” l’Italia figura soltanto ad un triste 31esimo posto, su un totale di 131 economie prese in esame da Cornell University e Insead.
LA CLASSIFICA – Spiccano in vetta Svizzera, Regno Unito e Svezia. L’Italia si piazza tra Cipro (30) e Portogallo (32), in tutti i casi in una posizione poco incoraggiante. Siamo per giunta in calo rispetto allo scorso anno di 3 posizioni.
In testa alla classifica per numero di brevetti richiesti compaiono gli Usa, che nei Paesi a reddito elevato precedono Giappone, Germania e Svizzera. Considerando quelli a reddito intermedio, a dominare la classifica è la Cina, seguita da Brasile e India.
INDICATORI – Tenendo in considerazione alcuni degli indicatori principali dai quali viene poi dedotto il ranking finale, l’Italia si conferma un Paese alquanto problematico.
Alcuni indicatori seguiti dal numero che indica il posizionamento dell’Italia:
Ease of starting a business – 58
Ease of paying taxes – 108
Expenditure on education – 75
ICT access – 30
Ease of getting credit – 96
ISO 9001 quality certificates – 1
PROBLEMI ITALIANI – L’elenco è ben noto: potremmo investire di più in ricerca (e in ricercatori), la formazione è vista ancora più come un costo e poco come opportunità (non solo formazione dei singoli, ma anche formazione dello staff in azienda), i nostri laureati spesso finiscono a dover cercare fortuna all’estero, mentre gli imprenditori sono in balia di vincoli burocratici e meccanismi che non facilitano né l’apertura di imprese né l’assunzione di risorse. Cambieremo mai?
