Travel blogging: passione o mestiere? Il dibattito infiamma la Rete

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Travel blogging: passione o mestiere? Il dibattito infiamma la Rete

Da tempo il dibattito è aperto, inutile dirlo. Scrivere di viaggi è una passione che equivale quasi al viaggiare stesso, ma può diventare un mestiere? Può essere redditizio? Ecco cosa ne pensano i travel blogger.

Senza la pretesa di voler fornire conclusioni affrettate e generalizzate, abbiamo notato alcuni commenti ad un post di Giovanni Boccia Artieri, che alcuni blogger non hanno affatto gradito. Trovate il post qui, se volete leggerlo in versione integrale, intanto possiamo fare qualche riflessione.

Innanzitutto, è lecito chiedersi quanto sia remunerativo essere oggi un travel blogger. La risposta è chiara: poco, se non nulla. Ma d’altra parte loro, i travel blogger, confermano qua e là in Rete dai loro spazi virtuali che il denaro è l’ultimo dei problemi, visto che si tratta di una passione prima di tutto. Ci sono però mille sfumature di pensiero e, infatti, ecco cosa scrive Giuseppe Trisciuoglio di Eurotrip.it: Eurotrip.it è Adv Free (senza pubblicità). Perché ho fatto questa scelta? Perché credo che la pubblicità ti condiziona un po’. Inizierei a scrivere articoli solo per riuscire a guadagnare di più. Non siamo ipocriti, i soldi fanno questo, e poi devo essere sincero non credo che si possa diventare ricchi scrivendo per un blog e comunque sarebbe una cifra così irrisoria da non permettermi di lasciare il mio lavoro”.

Questo è il punto. Scrivere per denaro equivale con tutta probabilità a scrivere di argomenti (e luoghi) preconfezionati, non a tema libero. Il riferimento è palesemente a quei trip che vengono organizzati invitando i blogger più seguiti nella speranza che questi riportino le proprie impressioni su luoghi e servizi e facciano quindi da cassa di risonanza. Spesso non è soltanto una speranza, è una certezza: io ti invito, tu vieni a provare i miei servizi, poi ne parli (bene). In questi casi, l’ospitalità è solitamente gratuita, ma lo stesso Boccia Artieri nel suo post parlava senza mezze misure di “sfruttamento”, attirando i commenti contrariati di vari blogger. Già, perché sono proprio i blogger a non sentirsi sfruttati, o almeno così pare, da questo meccanismo. Anzi, ribattono senza esitazioni alla tradizionale accusa che viene loro indirizzata: “se scrivete post elogiando chi vi ha invitati a partecipare ad un blog tour non potete essere obiettivi”. A questo stereotipo non ci stanno e ci tengono a ribadire di essere sempre onesti e di scrivere soltanto se quell’esperienza li colpisce. Altrimenti saluti e grazie, nessun obbligo. Sarà proprio così? Davvero aver partecipato gratuitamente ad un tour o ad un’iniziativa qualsiasi – un viaggio, di fatto – non influenza il giudizio di un blogger?

L’etica del viaggiatore passa dalla condivisione della sua esperienza di viaggio e dalla narrazione del suo vissuto; quella del travel blogger si misura nella distanza che riesce a tenere scrivendo destreggiandosi a spiegare perché quanto sta dicendo non dipende dal fatto che è stato ospitato gratuitamente”, scrive Boccia Artieri nel suo post. Ed è questo il punto. Quanto onesti sono i travel blogger che scrivono di viaggi dei quali hanno beneficiato gratuitamente? Non lo sapremo mai, ma sappiamo bene invece che quelle che per i blogger sono “occasioni per incontrare gente e conoscere luoghi” sono chance praticamente sicure di promozione gratuita per chi li invita. Impossibile stabilire quanto sia davvero vincente affidarsi all’opinione dei blogger del momento per “piazzare” un brand/prodotto turistico, ma se non altro è quasi a costo zero. “Se viene invitato in viaggi organizzati da tour operator, secondo me è già limitato alle regole che chi ha organizzato il viaggio ha posto”, si legge d’altra parte in qualche commento che vuole dimostrare quanto al timone non ci sia affatto il blogger di turno bensì il brand.

Una lettura dei fatti condivisa da molti la troviamo poi sul blog di Elettrix. “Una cosa è certa: al di fuori dell’Italia si stanno muovendo e si stanno muovendo tanto, mentre noi Italiani rimaniamo sempre un po’ indietro. Purtroppo continuiamo ad essere i travel blogger delle marchette o quasi. Quelli che si vendono al primo offerente per farsi un viaggio gratuito”, si legge. E scorrendo lo stesso post ecco un’ammissione provocatoria: “In fondo diciamoci la verità, quale travel blogger o quale blogger oggi scrive solo per passione? E anche se inizia a scrivere per passione, di sicuro poi vorrà cercare di guadagnarci su anche solo inserendo un semplice riquadro di Adsense”.

Ma è una colpa? Assolutamente no, visto che aggiornare un blog richiede tempo, di conseguenza le gratificazioni economiche sono graditissime. La differenza tra i travel blogger italiani e quelli esteri allora sarebbe un’altra: qui di travel blogger ce ne sono pochissimi e non sono quelli che si identificano come tali, non vivono della loro passione, scrivono gratuitamente e non vedono la loro attività come un mestiere. Il problema è che non si sono resi conto del potere che hanno tra le mani a livello di ritorno economico e allora preferiscono non seguire le orme dei “colleghi” all’estero, che viaggiano molto di più, viaggiano davvero, sono più credibili e non si atteggiano da esperti del settore.

La polemica è accesissima, ma forse ad aver ragione sono tutti quei blogger come Elisa (http://miprendoemiportovia.wordpress.com) che utilizzano una piattaforma qualsiasi e continuano a voler soltanto raccontare le proprie sensazioni: “Il bello del blog è che nasce per dar voce alle persone, per permettere loro di pubblicare la loro opinione. Chi fa il blogger lo deve fare innanzitutto per amore ed in questo caso per amore dei viaggi e non per fini economici. Se mi pagassero mi vedrei costretta a scrivere bene e non sarei più onesta coi miei lettori che è l’antitesi dell’idea di blog a mio avviso”. Farsi pagare per postare contenuti sarebbe quindi, secondo questa lettura, una perdita in termini di spontaneità. Chi ha ragione? Tutti e nessuno, dipende soltanto dal motivo per cui si sceglie di aprire un blog. Anche in questo caso, non esiste una ragione unica e uguale per tutti.